Sessantatré anni di fedeltà assoluta, di emozioni vissute allo stadio come a casa propria, di ricordi che si intrecciano con la storia di un club e con quella di un’intera città. È il racconto di Aldo Lupi, romano di nascita ma comasco d’adozione, che ha legato la sua vita al Como dal lontano 1963 fino a oggi, senza mai voltarsi indietro.
Da tifoso per caso a innamorato per sempre
Tutto nacque quasi per caso: un diciannovenne che entra al Sinigaglia per vedere Como–Lazio e che ne esce trasformato. «Tifavo Lazio, ma uscii tifoso del Como», ricorda. Da allora, quella scintilla non si è più spenta. I sogni di diventare calciatore lasciarono posto a una passione che, partita da una tribuna, è diventata compagna di vita.
Da spettatore alla fila 13, oggi alla fila 6, Lupi ha visto generazioni intere di amici salire e scendere gli scalini dello stadio. Ha collezionato aneddoti che raccontano la parte più umana del calcio: dall’invito di Marchioro a tenere alto il morale della squadra in pullman, alle tavolate con Bersellini e Didonè, fino a uno Zambrotta ragazzino intravisto in Primavera e subito incoraggiato. Perfino a casa sua si sono seduti nomi come Hansi Müller, ospite abituale.
Tra ricordi, nostalgie e speranze
I momenti più intensi affiorano ancora nitidi. Come la vittoria sotto la neve a San Siro contro il Milan, mentre la moglie era in travaglio: «Alla suora dissi che mia figlia si sarebbe chiamata Bruno o Matteoli», ricorda scherzando. O come il Como della promozione in Serie A nel 1980, “più familiare, più umano”, con i giocatori amici prima ancora che campioni.
Eppure, per Lupi, il Como più forte è quello di oggi. Una squadra che ha saputo riportare entusiasmo, cancellare i “mai cuntent” e riavvicinare una città difficile da conquistare. C’è stima per Cesc Fàbregas, allenatore capace di dare un’impronta chiara, ma anche un consiglio paterno: «Deve fare attenzione, a volte esagera». Il sogno resta quello di un nuovo stadio, simbolo di un progetto che può davvero decollare. «O adesso o mai più», avverte, mentre prepara la prossima cena con Gattei, con l’olio della sua terra da portare in dono. Una vita intera al fianco del Como, vissuta con lo sguardo appassionato e lucido di chi ha visto tutto ma continua ad emozionarsi come fosse il primo giorno. Perché il calcio, alla fine, è soprattutto questo: un legame che non conosce fine.